Impermeabilizzazioni in resina per la tenuta all'acqua - INFOBUILD

2023-03-08 14:43:42 By : Ms. Yawei Yang

Home/ Approfondimenti/ Impermeabilizzazioni in resina, la vera risposta ai problemi di tenuta all’acqua

A cura di: Claudio Sangiorgi e Linda Vera Krebs

Nel costruire contemporaneo, una delle questioni tecnologiche che ha assunto maggiore importanza, anche per il variato cimento cui è sottoposta a causa delle mutate condizioni climatiche, è il tema delle impermeabilizzazioni di lastrici, terrazzi, balconi e superfici orizzontali in genere.

Il problema, in realtà e in molti casi, risiede in prima istanza nel sistema di raccolta e convogliamento delle acque meteoriche del nostro patrimonio edilizio, ereditato dal passato e non più adeguato ai picchi di “bombe d’acqua” antecedentemente mai registratisi.

A fronte di tali eventi, la cui frequenza di accadimento ha drasticamente tagliato il proprio tempo di ritorno, l’insufficiente diametro o l’inadeguato numero (o entrambi) dei pluviali deputati all’irreggimentazione delle acque di precipitazione genera l’allagamento delle superfici di sporti e coperture piane, con tracimazioni che superano i risvolti a parete delle guaine o, ancora più di sovente, si incuneano nei punti di raccordo tra serramenti, oscuranti, soglie e imbotti, determinando infiltrazioni interne alle unità immobiliari che vi si affacciano.

Senza contare che l’edilizia storica, unitamente alle stigmate di un diverso passato meteorologico, reca con sé anche il peso di tante trasformazioni incongrue succedutesi nel tempo, come, per esempio, la sovrapposizione agli esistenti di rivestimenti che hanno annullato o quasi la sezione libera di passaggio delle acque di precipitazione nelle asole di scolo dei parapetti in calcestruzzo o sotto i traversi orizzontali inferiori di quelli in ferro, con conseguente azzeramento, per analoga ragione, dello spessore in rialzo pure delle soglie di porte e porte-finestre.

E che gli immobili più recenti, figli dell’ondata speculativa dei primi anni 2000, nel loro forzare interventi di ristrutturazione e ampliamento entro tipologie inadeguate a riceverli, hanno nel loro DNA problemi di insufficienza di pendenze o di non corretta relazione tra superfici orizzontali e pareti verticali, finendo con il manifestare pari se non maggiori cause di ammaloramento rispetto a edifici del secolo scorso o dei primi del ‘900.

Del resto, la frequenza con cui ci si imbatte in sovrapposizioni di strati su strati di materiali, al momento di ripensare i sistemi di tenuta di terrazzi, balconi e lastrici è anche spia – con il suo ricorrere non sporadico – di una certa resistenza al rifacimento integrale degli strati impermeabilizzanti, di sottofondo e di finitura, che molte committenze mostrano, per una somma di motivi così sintetizzabili:

Argomenti, peraltro, tranne l’ultimo, che restano in tutte le loro sfumature e che connotano questa tipologia di opere anche quando si decida, in modo coerente e programmato, di dare luogo a una rivisitazione complessiva dei sistemi di impermeabilizzazione e di smaltimento delle acque meteoriche.

Tradizionalmente, poi, le tecniche di intervento prevedevano l’uso di guaine impermeabili in doppio strato, con rivestimenti in grés o similari per le superfici calpestabili di diretto rapporto con gli ambiti residenziali o comunque interni agli stabili. Spessori gli uni e gli altri, soprattutto se accompagnati dalla formazione dell’indispensabile massetto di pendenza, che obbligavano a gestire quest’ultima (essenziale per il corretto allontanamento dell’acqua) non necessariamente in modo ottimale, in relazione a quote comandate di soglie di porte e porte-finestre di accesso alle superfici pavimentate.

Vi sono infine architetture, quali quelle dei tanti palazzi eclettici e déco dei primi del ‘900, che originariamente presentavano le solette dei balconi e dei ballatoi in cemento lisciato “bugiardato” (come si dice in Lombardia), ovvero con una finitura in grado di ridurre la scivolosità delle superfici.

Per questi immobili, in cui il frontale del balcone è parte integrale del decoro dei prospetti, diventa difficile immaginare una soluzione in guaina (anche in forma di rasante liquido, ché la geometria ridotta e i dettagli dei parapetti mal si prestano, in molti casi, ai risvolti dei classici teli bituminosi) con successiva posa di rivestimento ceramico, proprio per ragioni di coerenza di esiti rispetto alla consolidata linea degli stabili.

Senza contare, negli edifici connotati dai crismi invece del Razionalismo (dagli anni ’30 in poi), la frequente presenza di inserti di vetrocemento nello spessore di sezione dei manufatti, usuali punti di inciampo per le soluzioni di impermeabilizzazione più tradizionali.

Per tutta questa articolata casistica di questioni, in molti dei casi sopra descritti, può tornare utile provvedere a soluzioni che uniscano le funzioni di impermeabilizzazione e di finitura in un unico strato di pochi millimetri, capace oltretutto di sovrapporsi alle irregolarità geometriche e di spessore presenti nella fattispecie e di risolvere nodi critici particolarmente delicati, quali quelli del rapporto con le soglie dei varchi.

Soluzioni, ancora, estremamente versatili, che siano in grado di tenace aggrappo a qualsivoglia tipo di materiale e di finitura (risolvendo, per tale verso, parimenti il problema del punto di raccordo orizzontale-verticale, estremamente delicato invece nelle soluzioni a guaine tradizionali) e di concludere esteticamente la pavimentazione delle superfici in linea con l’immagine anche di architetture tradizionali.

Ci stiamo riferendo al mondo alquanto variegato (quanto a composizione delle specifiche linee di prodotto) delle resine liquide, tra cui per esempio quelle poliuretaniche (PUR), epossidiche (EP) e, non da ultime, quelle a base di polimetilmetacrilato (PMMA).  

Questa tecnologia vanta un amplissimo campo di applicazione, risultando decisamente performante per la realizzazione di sistemi di rivestimento e impermeabilizzazione di superfici direttamente esposte a fenomeni meteorologici e/o sollecitazioni meccaniche, quali per l’appunto coperture piane, balconi, terrazze, …

Si tratta, infatti, di prodotti – e qui ci si riferisce in modo particolare alle succitate resine in polimetilmetacrilato – che hanno un ciclo di lavorazione relativamente semplice, essendo costituiti da materiali a più componenti, i quali vengono miscelati in opera e successivamente applicati allo stato liquido tramite pennello o rullo. In un brevissimo intervallo (condizionato dalle condizioni climatiche del momento), grazie a una reazione chimica esotermica attivata dal componente catalizzatore, la resina subisce un rapido processo di indurimento, garantendo tempi di realizzazione davvero contenuti (dell’ordine di pochi minuti).

Anche dal punto di vista della resa estetica, questa tecnologia consente un’ampia scelta a livello di colori e finiture, da relazionarsi, ovviamente, alla tipologia di superficie da trattare e alla linea architettonica dell’edificio su cui si interviene.

Per capire esattamente le tecniche di messa in opera di questi materiali (che pure prevedono, ovviamente, a seconda delle peculiarità dei singoli casi delle varianti), è utile descrivere puntualmente le fasi dei cicli applicativi, attraverso l’esempio di una recente realizzazione nel corso dei lavori di rifacimento di facciata di uno storico edificio milanese.

In questo specifico “caso studio” è emersa la necessità di un intervento di sostanziale riqualificazione dei balconi dello stabile, in forte stato di degrado, senza tuttavia modificarne l’aspetto e la geometria originarie. Provveduto al ripristino delle sagome e alle dovute opere di consolidamento delle solette in calcestruzzo debolmente armato, si è optato quindi per la stesura di resine liquide di polimetilmetacrilato (nello specifico sono stati impiegati prodotti Kemper System Italia Srl, azienda attiva nel settore fin dagli anni ’60), proprio per contenere i tempi di realizzazione e limitare le variazioni dal punto di vista estetico e dimensionale.

Il ciclo di lavorazione ha così previsto le seguenti macro-fasi:

L’impiego di questa tecnologia ha consentito di contenere i tempi di lavorazione – rispetto a un intervento di stampo più tradizionale -, di mantenere una coerenza materica e cromatica con la configurazione originaria e di ridurre al minimo le variazioni di quota dei piani di calpestio, avendo la stratigrafia complessiva uno spessore di pochi millimetri. 

Proprio la versatilità di applicazione e le doti di intima coesione con pressoché tutti i principali materiali da costruzione, consentono alle resine anche impieghi parziali, per la soluzione dei soli punti (tipicamente, come detto, i raccordi tra superfici orizzontali e verticali, ma non solo) di maggior difficoltà per altri sistemi, per il resto impiegati validamente sui campi privi di tali criticità.

Ne nasce così un’ibridazione che, in alcuni casi, può venire incontro alle ragioni e alle necessità di economia di commesse, prettamente legate a ragioni funzionali.

È quanto accaduto in un recente intervento di riqualificazione di un lastrico di copertura all’interno di una corte in zona semicentrale di Milano.

Qui, la caratterizzazione meramente funzionale del manto, ha suggerito la posa in opera di tradizionali guaine bituminose, che sono state tuttavia integrate, nei punti di risvolto a muro e di raccordo alle scossaline degli shed della copertura attigua, con fasce di sigillatura in resina, armate con tessuto non tessuto.

In tal modo si sono potute contenere le opere di impermeabilizzazione (poi concluse con un ciclo di pitturazione di colore chiaro, a vantaggio della riflettanza del sistema, come previsto dalle norme sull’efficienza prestazionale delle coperture piane e a falde) e garantire, a un tempo, l’ermetica tenuta di punti, come ricordato, altrimenti sempre destinati a dare problemi nel tempo o a richiedere la posa di ulteriori sistemi di protezione, in forma di profili di lattoneria.

Photo Credit: Linda Vera Krebs per Arch+d3

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